Lezioni I semestre 2019

 

Programma del I semestre 2018-2019

ATTENZIONE: La verifica finale si terrà mercoledì 3 aprile (diversamente da quanto indicato nel programma)

 

Si pubblica la verifica finale dello scorso semestre con le risposte corrette:

Verifica 24.10.2018 con risposte corrette

 

Lezione del 7 novembre 2018. Principi di formazione forense.

Avv. Paola Mai

Slide lezione del 7.11.2018 – Strategie didattiche

 

Lezione del 14 novembre 2018. Un caso pratico di diritto penale.

Avv. Marco Antonio Dal Ben

Si pubblica il parere che sarà oggetto della lezione.

Parere avv. Dal Ben

Il relatore si è occupato del concorso formale e del reato continuato, entrambi disciplinati dall’art. 81 c.p.

Il concorso formale si ha quando il reo, con un’unica azione, viola più norme incriminatrici (art. 81, 1^ comma)

L’istituto del reato continuato, invece, presuppone il compimento di più azioni (art. 81, 2^ comma).

Il “disegno criminoso” è il programma criminale che deve essere delineato almeno nei suoi minimi essenziali, e deve precedere l’inizio degli atti criminosi

La norma stabilisce non già che debbano sommarsi matematicamente le pene, ma che si applichi la pena prevista per il reato più grave, aumentata fino ad un terzo.

Come debba determinarsi il reato più grave, se in astratto, con riguardo alla cornice edittale, o in concreto, è una questione non pacifica, ma l’orientamento maggioritario depone per la prima soluzione.

Il caso proposto

La risoluzione del caso proposto impone preliminarmente di distinguere la fattispecie dell’art. 640 bis c.p. da quella dell’art. 316 ter.

In generale, può dirsi che il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato si concretizzi quando il soggetto si limita alla falsa dichiarazione o al silenzio malizioso.

Quando tali comportamenti si inseriscano in un più ampio contesto di artifizi e raggiri, come nel caso sottoposto dal relatore, il reato configurabile é la truffa aggravata di cui all’art. 640 bis.

Tizio è anche responsabile del reato di malversazione a danno dello stato di cui all’articolo 316 bis c.p.: questo perché incassare il denaro pur non avendone diritto (316 ter) e non destinarlo alle finalità previste dalla legge (316 bis), integrano due distinte condotte!

Caio emette fattura per un’operazione inesistente, Tizio la registra per ottenere un indebito risparmio fiscale. Per questo essi sono responsabili dei delitti puniti rispettivamente dall’art. 8 e 2 della D. Lgs. n. 74/2000.

È escluso che, in capo a Tizio, possa configurarsi il concorso nell’emissione della fattura, visto l’art. 9 del D.Lgs. 74/2000.  

 

Lezione del 21 novembre 2018. Diritto penale.

Avv. Prof. Enrico Ambrosetti

Il relatore si è occupato del reato di abuso d’ufficio disciplinato dall’art. 323 c.p.

La materia dei delitti contro la pubblica amministrazione è tra le più ritoccate degli ultimi trent’anni, e l’art. 323 c.p. è costantemente interessato dalle pronunce giurisprudenziali.

Il codice Rocco prevedeva due diverse figure: mentre all’art. 323 c.p. era previsto il reato di abuso d’ufficio, l’art. 324 c.p. disciplinava il delitto di interesse privato in atti di ufficio.

Il concetto di interesse privato, però, per la sua ambiguità, comportava una eccessiva ingerenza dell’Autorità Giudiziaria: per tali ragioni il legislatore è intervenuto prima nel 1990, abrogando l’art. 324 c.p., poi nel 1997, riscrivendo il reato di abuso d’ufficio: l’obiettivo era, in questo caso, formulare una fattispecie fortemente “tipizzata”.

Il testo dell’articolo, oggi, descrive una condotta complessa: il reato è di condotta e di evento (alternativo).

La condotta consiste nella violazione di norme di legge o regolamento ovvero nella omessa astensione (in presenza di un legame di parentelà/affinità, di vincolo affettivo o economico); gli eventi, alternativi, sono l’ingiusto vantaggio patrimoniale e l’altrui danno ingiusto.

L’attenzione del relatore si è focalizzata sul concetto di violazione di norme di legge o di regolamento. Ci si è chiesti, in particolare, se tale nozione si sovrapponga a quella vigente nel campo del diritto amministrativo, con esclusione, dunque dell’eccesso di potere e dell’incompetenza.

La dottrina era divisa, specialmente sul corretto inquadramento dell’eccesso di potere: si tratta di una violazione di legge ex art. 323 oppure no?

Sul punto interveniva la Cassazione con la sentenza Tosches (del 4 dicembre 1997) concludendo che la norma penale debba ritenersi circoscritta alle sole violazioni di legge in senso stretto.

In realtà, la tendenza che oggi si registra nella giurisprudenza è quella che fa coincidere la violazione di legge di cui all’art. 323 c.p. con l’illegittimità amministrativa (comprendente dunque l’incompetenza, l’eccesso di potere, la violazione di legge).

Il relatore ha rilevato, infine, il proliferare delle norme di c.d. soft law: si pensi alle Linee Guida approvate dal Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC).

Esse, che nascono con l’obiettivo di prevenire la commissione di reati, possono trasformarsi, se violate, in molteplici ipotesi di abuso d’ufficio, laddove l’Autorità Giudiziaria costruisca la relativa accusa fondandola sulla violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione sanciti dalla Costituzione all’art. 97.

 

Lezione del 28 novembre 2018. Profili di diritto penale del lavoro.

Avv. Marco Grotto

La normativa di riferimento:

  • Lgs. n. 81/2008
  • 589 c.p. (Omicidio colposo)
  • 590 c.p. (Lesioni personali colpose)

Il relatore si è occupato dell’istituto della delega di funzioni di cui all’art. 16, D. Lgs. 81/2008: “1. La delega di funzioni da parte del datore di lavoro, ove non espressamente esclusa, è ammessa con i seguenti limiti e condizioni:

  1. a) che essa risulti da atto scritto recante data certa;
  2. b) che il delegato possegga tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
  3. c) che essa attribuisca al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
  4. d) che essa attribuisca al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate.
  5. e) che la delega sia accettata dal delegato per iscritto.

L’istituto ha un notevole impatto perché consente al datore di lavoro (che è il destinatario della norma generale e astratta) di spostare, con un atto di autonomia privata, il soggetto penalmente responsabile.

 

  • Il “meccanismo ingiunzionale”: 20 e ss. D. Lgs. 758/1994 – Titolo XII D. Lgs. 81/2008

Si tratta di un procedimento in virtù del quale l’autorità vigilante che riscontra una irregolarità (contravvenzione), impartisce all’impresa un’apposita prescrizione, assegnando un congruo termine per la regolarizzazione. Entro e non oltre sessanta giorni dalla scadenza del termine assegnato, l’organo di vigilanza verifica che la violazione sia stata eliminata secondo le modalità e nei termini stabiliti. Quando risulta l’adempimento, il contravventore è ammesso a pagare un’ammenda. Se il contravventore adempie alla prescrizione dell’organo di vigilanza e provvede al pagamento dell’ammenda, il reato si estingue – si tratta di una sorta di oblazione “speciale”.

Tale procedura ha avuto un’efficacissima applicazione pratica perchè, da un lato ha determinato una massiccia opera di adeguamento alla normativa antinfortunistica da parte dei datori di lavoro e, dall’altro, ha alleggerito il carico di procedimenti per reati in materia di sicurezza sul lavoro.

 

Le due fattispecie che si ricollegano al diritto del lavoro sono l’omicidio colposo (589 c.p.) e le lesioni personali colpose ( 590 c.p.).

L’infortunio sul lavoro non è “cagionato”, ma il combinato disposto degli artt. 590 c.p. e 40 c.p., 2° comma, (“Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di evitare equivale a cagionarlo”), consente di individuare il responsabile in colui che aveva l’obbligo di evitare l’infortunio: tendenzialmente, il datore di lavoro.

In alcuni contesti l’individuazione del soggetto che, nello specifico, è chiamato a gestire il pericolo e ad evitarlo è molto difficile.

Il soggetto responsabile è quello che doveva verificare e controllare quell’evento concretamente.

 

Responsabilità commissiva ed omissiva nel diritto penale del lavoro

COMMISSIVA: il soggetto agente attiva il nesso causale che porta all’evento (esempio: una persona è dentro al silos che contiene sementi, l’operatore esterno attiva la macchina).

OMISSIVA: il soggetto non attiva il nesso di causa ma ha l’obbligo di bloccare. Il reato è colposo perché l’evento non lo si è voluto ma è dovuto alla violazione di regole specifiche o generali.

 

Lezione del 5 dicembre 2018. Esercitazione pratica di diritto penale.

Avv. Francesca Zarantonello.

Esercitazione pratica del 5.12.18

Quali sono le fattispecie di reato astrattamente configurabili in capo a Caio e Sempronia?

Caio: art. 609 bis; art. 61, n. 5, art. 582 c.p.

Una volta individuato il reato commesso da Caio (violenza sessuale, art. 609 bis), va immediatamente verificata la presenza di circostanze aggravanti. L’indagine dovrà muovere dalla presenza di circostanze aggravanti specifiche (art. 609 ter c.p., non riscontrabili nel caso concreto), per spostarsi sulle aggravanti comuni (art. 61): nel caso di specie, può affermarsi che Caio abbia approfittato delle “circostanze di tempo, luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesaˮ (n. 5, c.d. aggravante delle “minorata difesaˮ).

Caio, in seguito, si è reso responsabile del reato di lesioni personali (art. 582 c.p.). Richiamata la distinzione tra percosse e lesioni (solo le seconde comportano l’insorgenza di una malattia, cioè di un’alterazione anatomico-funzionale dell’organismo) e la classificazione delle lesioni in lievissime (sino a 20 giorni), lievi (da 21-40 gg.), gravi (oltre 41 gg., art. 583 c.p., 1° comma) e gravissime (art. 583, 2° comma), si è concluso che lesioni arrecate a Sempronia sono lievi.

Quanto alla procedibilità dei suddetti reati, deve farsi riferimento all’art. 609-septies: la norma si caratterizza per due importanti specificità: 1) la querela può essere proposta nel termine di 6 mesi (e non di 3 mesi); 2) essa è irrevocabile.

Per le lesioni, al contrario, si sarebbe potuto procedere d’ufficio.

Sempronia: art. 378 c.p., ma non punibile ai sensi dell’art. 384 c.p.

Sempronia ha dichiarato il falso di fronte alla Polizia Giudiziaria che, su delega del P.M., la sentiva in qualità di persona informata sui fatti.

La condotta posta in essere da Sempronia non è direttamente punita da alcuna norma del codice penale. In esso, infatti, mentre è considerata la falsa informazione al P.M. (art. 371 bis), al difensore (art. 371 ter) e in sede di audizione testimoniale (art. 372), non è contemplato il mendacio reso agli organi della Polizia Giudiziaria.

Escluso, per il principio di stretta legalità, che le relative disposizioni possano essere estese, per analogia, al caso de quo, il fatto va qualificato come favoreggiamento personale ai sensi dell’art. 378 c.p., per avere la condotta di Sempronia ostacolato le investigazioni dell’Autorità Giudiziaria.

Ciò premesso, la traccia evidenzia che Sempronia non ha ricevuto gli avvisi previsti dalla legge.

Il testo si riferisce all’avviso contemplato dall’art. 199 c.p.p. (applicabile anche alla fase delle indagini preliminari) che impone, a pena di nullità, di avvertire i prossimi congiunti dell’imputato della facoltà di astenersi dal deporre.

Sebbene l’art. 384 non contempli espressamente un’ipotesi di non punibilità per le false informazioni rese alla Polizia Giudiziaria, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 416/1996, ne ha sancito l’illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevede l’esclusione della punibilità per false o reticenti informazioni assunte dalla Polizia Giudiziaria (su delega del P.M. o meno), fornite da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal renderle, a norma dell’art. 199 c.p.p.

Sempronia, pertanto, non è punibile per il reato di favoreggiamento personale.

 

Lezione del 12 dicembre 2018. Una questione pratica di procedura penale.

Avv. Prof. Emanuele Fragasso

Il relatore si è occupato della discussione orale nel processo penale.

Questo tema è negletto seppur nell’immaginario collettivo è l’exploit del ruolo di avvocato.

Intorno ad ogni argomento vi sono due spiegazioni in contrasto tra loro” (Protagora): la discussione, da questo punto di vista, è espressione della necessità di sviluppare opinioni ragionate su un medesimo fatto.

Chi discute nel processo? L’avvocato. Il ruolo della difesa tecnica nel processo penale ha un doppio volto: garantisce il diritto della parte alla scelta del proprio difensivo, garantisce l’autenticità del processo penale.

Solo l’avvocato, infatti, svolge l’esame e il controesame dei testimoni, mai l’imputato. Quando ad essere esaminato è il perito, può capitare che il difensore chieda che sia un altro tecnico ad interrogarlo. Ciò è vietato, perché il dialogo tra professionisti diverrebbe criptico e isolerebbe proprio il Giudice.

Solo il difensore ha gli strumenti tecnici per mediare e canalizzare le informazioni (anche tecniche) all’organo decidente.

Se in primo grado la discussione deve saper sfruttare i risultati già conseguiti nel corso dell’istruzione dibattimentale (un’ottima arringa, sostiene il relatore, non potrà mai sanare gli eventuali errori commessi nella cross examination), nel grado d’appello, che é incentrato sulla sentenza di primo grado e sui motivi di impugnazione, è la relazione del Giudice relatore a guidare l’avvocato (meno ne sa, più l’avvocato dovrà insistere sul contenuto dei propri atti).

In Cassazione, come noto, il ricorso deve essere essenzialmente onnicomprensivo.

Ciò che non deve essere fatto, nel corso della discussione orale, è di riassumere i motivi del ricorso scritto! La discussione orale, pertanto, dovrà avere ad oggetto il punto “dolente”, cioè decisivo.

 

Lezione del 19 dicembre 2018. Un caso pratico di diritto penale.

Avv. Gaetano Crisafi.

Caso. Avv. Crisafi.19.12.18

Il reato di truffa è stato recentemente toccato dalle modifiche introdotte con il D. Lgs. n. 36/2018: il delitto, oggi, è perseguibile a querela della persona offesa salvo che ricorra una delle circostanze previste nella stessa norma (640 c.p.) ovvero che il danno arrecato alla persona offesa sia di “rilevante gravità” (art. 61 n. 7 c.p.).

L’intervento del legislatore, che estende la condizione di procedibilità alla maggioranza delle truffe, è volta a deflazionare il carico delle Procure perchè la fattispecie delineata dall’art. 640 c.p., per la sua ampiezza, finisce col comprendere i più disparati accadimenti.

Nel caso di specie, potrebbe facilmente riscontrarsi la rilevante gravità del danno, che non sta tanto nella perdita patrimoniale subita, ma nel fatto che le imprese siano rimaste, a causa della truffa, completamente sfornite di copertura assicurativa.

La tempistica che emerge dalla traccia rivela, a parere del relatore, la tardività della querela presentata dal truffato.

Per tale motivo, dato il dubbio sulla tempestività della querela e l’incertezza del criterio sulla rilevante gravità del danno, l’avv. Crisafi ha spiegato che, in un caso del genere, il P.M. o il Giudice inviterebbero il truffato a sporgere querela ai sensi della disposizione transitoria contenuta all’art. 12 del D. Lgs. 36/2018, onde evitare successivi problemi in ordine alla procedibilità dell’azione penale.

La competenza del Tribunale, infine, è radicata nel luogo in cui gli assegni sono stati portati all’incasso, secondo un orientamento che va consolidandosi specialmente in tema di truffe online (Cass. 14730/2017; Cass. 37400/2016).

 

Lezione del 9 gennaio 2019. La deontologia forense.

Avv. Lucio Zarantonello.

Dal 1° gennaio 2015 il procedimento disciplinare è di competenza del Consiglio Distrettuale di Disciplina (CDD), e non più del Consiglio dell’Ordine territorialmente competente.

Per gli iscritti all’Ordine degli Avvocati di Vicenza è competente il CDD del Veneto.

Al Consiglio dell’Ordine competente rimane il compito di trasmettere gli esposti e le segnalazioni, a seguito dei quali il segnalato non può più cancellarsi dall’albo o dal registro (nel caso dei Praticanti Avvocati).

Il CDD del Veneto si è rinnovato a luglio e la prima riunione si è tenuta venerdì 11 gennaio.

 

I dati del CDD del Veneto.

Tra il 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2018 (i dati sono aggiornati al 18 dicembre) il CDD del Veneto si è occupato di 3.845 fascicoli (1.101 solo nel 2018), si è riunito in 76 sedute plenarie, ha assunto 190 decisioni (98 solo nel 2018), di cui 164 sanzioni e 13 assoluzioni.

Tra le sanzioni irrogate si contano 39 avvertimenti, 59 censure, 62 sospensioni e 2 radiazioni (oltre a 2 sospensioni cautelari, che costituiscono una misura preventiva utile quando il fatto per cui si procede abbia suscitato clamore).

I richiami verbali sono stati 400.

Com’è noto, il richiamo verbale è una “non sanzione”, perché l’art. 27 del Codice Deontologico Forense non la inserisce tra quelle irrogabili

Tuttavia, quando la violazione è “lieve e scusabile”, il CDD può indirizzare una lettera al professionista nella quale lo invita al rispetto delle norme deontologiche.

Si tenga presente, tuttavia, che tale provvedimento è inserito nel fascicolo personale dell’Avvocato/Praticante e avverso il richiamo verbale può essere proposto ricorso Al Consiglio Nazionale Forense.

 

Il procedimento disciplinare è oggi disciplinato dal Regolamento n. 2 del 21 febbraio 2014 del Consiglio Nazionale Forense e dagli artt. 50-63 della Legge Professionale Forense (L. N. 247/2012)

Il procedimento disciplinare oggi è “domestico”, nel senso che sono gli stessi avvocati a giudicare e sanzionare gli altri avvocati.

I principi ispiratori del nuovo procedimento, entrato in vigore dal 1°/01/2015, possono così riassumersi:

  1. Il procedimento assegna all’Ordine degli Avvocati una nuova immagine di istituzione che fa pulizia delle “mele marce”;
  2. Il nuovo procedimento elimina il rapporto tra elettore e giudice. Questo perché, ai sensi dell’art. 4, 5° comma del Regolamento citato “La competenza disciplinare nei confronti dei componenti del Consiglio distrettuale di disciplina e nei confronti dei componenti dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati del distretto è attribuita al Consiglio distrettuale di disciplina individuato ai sensi del comma precedente”, cioè ad una tabella che ricorda il meccanismo previsto dall’art. 5 del c.p.p. (per i Consiglieri del Distretto di Venezia è competente il CDD di Trento);
  3. Il nuovo procedimento delinea un percorso disciplinare ispirato al giusto processo;
  4. Gli istituti delineati sono simili al processo penale (ad esempio la prescrizione – non dell’illecito ma dell’azione disciplinare) è fissata in 6 anni aumentabili sino a 7 e ½ nel caso di un atto interruttivo e fino a 9 anni laddove vi sia un parallelo processo penale per i medesimi fatti;
  5. Il procedimento è ispirato a criteri di trasparenza e di eliminazione delle incompatibilità (se un componente della sezione appartiene al medesimo ordine dell’incolpato, esso viene sostituito da un membro supplente);
  6. Il nuovo procedimento armonizza le varie situazioni disciplinari perché il codice stabilisce la sanzione irrogabile per ogni singola violazione.

Unico protagonista del nuovo procedimento disciplinare è il Consiglio Distrettuale di Disciplina.

Ogni distretto di Corte d’Appello ha un Consiglio Distrettuale di Disciplina (26 in Italia, per un totale di 702 consiglieri, 34 per il Veneto, 37 dal 1/01/19).

Queste le principali novità del processo disciplinare introdotto dal Regolamento n. 2/2014:

  1. Autonomia del processo disciplinare rispetto al procedimento penale quando si procede per lo stesso fatto (in precedenza, al contrario, il procedimento disciplinare doveva essere sospeso sino alla definizione di quello penale).
  2. Il procedimento disciplinare è attualmente allineato al processo penale, le cui norme si applicano in via residuale (nonostante la natura amministrativa del procedimento disciplinare);
  3. Il collegio giudicante è composto di 5 membri (1 Presidente, 1 segretario, 3 consiglieri);
  4. Dilatazione delle garanzie e delle facoltà di argomentare per l’incolpato (è stato introdotto un istituto simile al 415 bis c.p.p.);
  5. Sono mutate le regole in merito alla utilizzabilità degli atti di indagine nel dibattimento.

 

Il procedimento disciplinare conta 4 fasi principali (art. 14 e ss. del Regolamento n. 2/2014 del Consiglio Nazionale Forense)

  1. Preventiva delibazione sulla fondatezza dell’esposto o della segnalazione;
  2. Istruttoria
  3. Decisioni sulle richieste del Giudice Istruttore
  4. Dibattimento

Conclusivamente, il relatore ha rilevato che le segnalazioni nei confronti degli Iscritti provengono per il 50 % dai Colleghi; per il 40 % dai clienti; per il 10 % dall’Autorità Giudiziaria (in genere, per l’omessa presenza in udienza del difensore d’ufficio o di fiducia.

 

Lezione del 16 gennaio 2019. Un caso pratico di diritto civile.

Avv. Luca Siviero.

Ecco il caso affrontato durante la lezione: Caso. avv. Siviero

Le parti Alfa e Beta hanno stipulato un contratto d’appalto d’opera privato disciplinato dal codice civile.

L’obbligazione gravante su Beta è di risultato.

In particolare, il caso impone di analizzare l’istituto della garanzia per difformità e vizi dell’opera, perché l’edificio presenta delle infiltrazioni d’acqua e ha due finestre non previste nel progetto. Quanto alle infiltrazioni, per esse è astrattamente applicabile sia il rimedio (contrattuale) previsto l’articolo 1667 c.c. sia quello (extracontrattuale) previsto dall’articolo 1669 c.c.: la sostanziale differenza tra i due rimedi consiste nella possibilità di far valere il secondo anche nei confronti degli aventi causa del committente, oltre che nelle rilevanti differenze nei termini di decadenza e prescrizione. Nel caso che che ci riguarda, non vi sono ostacoli all’applicazione del rimedio contrattuale di cui all’art. 1667 c.c.

Quante alle finestre non presenti nel progetto, è necessario operare alcune distinzioni. Prima di tutto, bisogna considerare l’ipotesi in cui il progetto consegnato al Comune competente per l’autorizzazione e quello consegnato all’impresa costruttrice potrebbero non corrispondere. In questo caso, considerato che la diligenza richiesta al costruttore non è quella del “buon padre di famiglia” ma quella professionale potrebbe essere considerato un obbligo dell’appaltatrice quello di confrontare i due progetti. Al contrario, quando l’impresa abbia ricevuto un ordine di prosecuzione dei lavori da parte della committente, è sia stata privata, così, di autonomia nell’esecuzione dei lavori, diventa un nudus minister, come tale esonerato da responsabilità.

Quanto alla eccezione di inadempimento opposta da Alfa, è da qualificarsi contraria a buona fede ai sensi dell’art. 1460 c.c., 2° comma, perché, nel caso di specie, non varrebbe a riequilibrare le opposte prestazioni (come dovrebbe essere), ma imporrebbe un sacrificio ingiustificato all’appaltatrice (l’opera potrebbe valere € 1.000.000 e le infiltrazioni potrebbero eliminarsi con poche migliaia di euro).
I rimedi dell’art. 1668 c.c., com’è noto, sono tre: la riduzione del prezzo, l’eliminazione dei vizi a spese dell’appaltatore, la risoluzione del contratto. La risoluzione, tuttavia, ai sensi della norma citata, può domandarsi solo quando i vizi o le difformità rendano il bene del tutto inadatto alla sua destinazione, specialmente se tale uso è stato pattuito nel contratto (in giurisprudenza, viene ricondotta a questo caso l’ipotesi in cui i vizi impediscano all’edificio di ottenere l’agibilità). È evidente che nel caso di specie detto presupposto non sussista.

L’eliminazione dei vizi, a parere del relatore, è rimedio assolutamente sconsigliabile al nostro cliente Alfa perché è assai difficile ottenere piena soddisfazione all’esito della condanna ad un facere.

Nel caso di specie, pertanto, il rimedio più adeguato è la riduzione del prezzo. Essa non potrà consistere nel costo necessario per eseguire i lavori di riparazione perché i costi per la riparazione possono eccedere di gran lunga la diminuzione del valore del bene. Sempre formulabile, infine, è la domanda di risarcimento del danno. Esso consiste nelle spese del contratto, nel danno a cose o persone, nel danno derivante dalla non eliminabilitá della difformità, nel danno da ritardo nella commercializzazione del bene. La responsabilità è di natura contrattuale, perciò la colpa si presume, salvo che l’appaltatrice dimostri il caso fortuito o la forza maggiore. Nel caso di specie, l’appaltatrice sarebbe liberata anche se dimostrasse di avere scrupolosamente adempiuto al contratto stipulato con il committente.

 

Lezione del 23 gennaio 2019. Un caso pratico di diritto civile.

Avv. Diego Novello

Il caso: Caso avv. Novello. 23.01.19

Il relatore ha fornito ai praticanti avvocati alcuni consigli utili in vista della redazione del parere all’Esame di Stato.

  1. La prima cosa da fare è leggere attentamente la traccia. Per orientarsi conviene consultare, per cominciare, il codice puro.
  2. Quando la traccia chiede di premettere brevi cenni, ciò che viene richiesto è di riassumere in poche righe l’essenza dell’istituto di cui si tratta.
  3. Il parere va introdotto con formule di questo genere: “al fine di risolvere la questione….. è necessario…..”; in generale, la commissione va “accompagnata” nella lettura del parere, pertanto, bisogna evitare gli stacchi bruschi tra un paragrafo e l’altro.
  4. Il brocardo latino, se lo si vuol citare, va perfettamente riportato, altrimenti conviene astenersi.
  5. Nulla deve essere dato per assodato se la traccia non lo dice esplicitamente: il candidato deve procedere ponendosi problemi e offrendo le soluzioni a seconda dei diversi scenari (se fosse così…. allora…..); il parere, in questo senso, è un sentiero con bivii o trivii.

La scrittura che il relatore ha distribuito veniva realmente sottoscritta da alcuni clienti dell’avv. Novello i quali, scoprivano che, appena pochi giorni dopo, il promittente venditore avrebbe ceduto il medesimo mappale ad un terzo, mediante la stipula di un atto pubblico di compravendita.

E’ noto che, in presenza di due atti astrattamente idonei a trasferire la proprietà, trasferisce la proprietà l’atto che viene trascritto per primo.

Quid iuris? Quale tutela per i clienti dell’avv. Novello?

E’ evidente che il difensore non potesse ottenere nè l’autenticazione delle sottoscrizioni, nè la formalizzazione dell’atto notarile, perché entrambe le soluzioni avrebbero richiesto la collaborazione della controparte.

La soluzione passa attraverso la corretta qualificazione del contratto: esso non è affatto un preliminare, ma è una vendita vera e propria (“La parte venditrice vende e cede“), sebbene stipulata in una forma non idonea alla trascrizione. Si tratta, pertanto, di un contratto preliminare improprio.

La proprietà. pertanto, era regolarmente passata agli acquirenti.

Per questo motivo, occorreva far verificare giudizialmente la sottoscrizione ai sensi dell’art. 216, 2° comma, del codice di procedura civile (con atto di citazione ex art. 163 c.p.c.), nonché trascrivere tempestivamente la relativa domanda giudiziale per ottenere la retrodatazione degli effetti della decisione finale.

La sfida del difensore fu proprio quella di trascrivere la propria domanda giudiziale prima della compravendita del terzo: l’avv. Novello ne uscì vittorioso perché il Tribunale riconobbe l’autenticità delle sottoscrizioni.

 

Lezione del 30 gennaio 2019. La responsabilità medica.

Avv. Maria Gabriella Di Pentima.

Il merito della legge Gelli-Bianco è di aver introdotto il procedimento per accertamento tecnico preventivo in alternativa all’esperimento della mediazione. Essa, infatti, presentava numerose criticità legate, per lo più, alla sistematica assenza delle assicurazioni e al fatto che le aziende sanitarie sono sottoposte a stringentissimi controlli da parte della Corte dei Conti in ordine alla possibilità di mediare con il paziente.

L’art. 8 della Legge Gelli-Bianco stabilisce che, se entro 6 mesi dall’inizio dell’ATP, la conciliazione non vi sia stata o il procedimento non si sia concluso, la parte deve attivare (entro 90 giorni dalla scadenza del termine massimo o dalla presentazione della relazione) il ricorso ex art. 702 bis c.p.c. per fare salvi gli effetti della domanda ex art. 696 bis.

La relatrice ha commentato tale disposizione spiegando che tale strategia processuale si rivela utile solo laddove l’accertamento tecnico preventivo abbia già raggiunto una fase avanzata, in caso contrario conviene attivare un procedimento di cognizione ordinario, inserendo, tra le conclusioni, la richiesta di poter inglobare nel procedimento la relazione nel frattempo depositata all’interno dell’ATP.

È quel che è capitato in una vertenza che l’avv. Di Pentima sta seguendo personalmente: in questo caso l’ATP non ha raggiunto nemmeno la fase dell’udienza di giuramento del CTU perché, una volta nominato, esso non si è presentato, per più di una volta e con professionisti diversi.

L’art. 6 della Legge Gelli ha introdotto l’art. 590 sexies al codice penale.

La norma esclude la punibilità del medico per il reato di omicidio colposo e lesioni personali colpose nel caso in cui il medico abbia rispettato “le raccomandazioni previste dalle linee-guida come definite e pubblicate ai sensi di legge, ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

La norma è indubbiamente troppo generica e non è mancato chi ne ha evidenziato i profili di incostituzionalità (per contrasto con l’art. 3 e 25 della Costituzione).

È toccato alla Corte di Cassazione il compito di precisare e completare tale disposizione di legge: la sentenza n. 8770 del 22 febbraio 2018 ha schematicamente riassunto le ipotesi in cui sussiste la responsabilità a titolo di colpa dell’esercente la professione sanitaria per i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose:

  • L’evento si é verificato per colpa, anche lieve, da negligenza o imprudenza;
  • L’evento si è verificato per colpa, anche lieve, da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali;
  • L’evento si è verificato per colpa, anche lieve, da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto;
  • L’evento si è verificato per colpa grave da imperizia nell’esecuzione di linee guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico.

Ecco la giurisprudenza analizzata dalla relatrice nel corso della lezione:

Avv. Di Pentima. 30.01.2019 (Giurisprudenza)

Avv. Di Pentima 30.01.2019. (Cass. Sez. Unite n. 8770/2018)

 

Lezione del 6 febbraio 2019. La disciplina delle banche in crisi.

Avv. Prof. Diego Manente e avv. Barbara Baessato.

L’avv. Manente ha tracciato le linee evolutive del sistema bancario italiano.

Esso si snoda attraverso 3 grandi periodi, caratterizzati rispettivamente:

  • Dalla legge bancaria del 1936, rimasta in vigore sino agli anni ‘90;
  • Dall’entrata in vigore del Testo Unico Bancario (D. Lgs. 385/1993)
  • Dalla crisi economico finanziaria intervenuta dal 2008 in poi, dall’introduzione del meccanismo unico di vigilanza nel 2014 e dal meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie nel 2016

 

  • La legge del 1936 nasceva dalla grave crisi bancaria del 1929 ed era figlia della politica fascista. Con essa venne ridefinito il ruolo delle banche c.d. miste – le quali, oltre ad esercitare la primaria funzione di intermediazione finanziaria, partecipano o sono partecipate dalle imprese, condividendone il rischio. Tale riforma instaura un’attività di vigilanza di tipo “strutturale”. In questa fase la soluzione delle crisi avveniva all’interno del sistema bancario: le attività della banca in crisi venivano cedute ad una banca sana e il sistema delle altre banche era in grado di assorbire la crisi;
  • Tale seconda fase risente dell’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea e, in particolare, al recepimento di svariate Direttive. Esse si sono consolidate nel Testo Unico Bancario (D. Lgs. 385/1993). Punto di riferimento di tale normativa è la banca “universale” la banca cioè che svolge la sua funzione tipica ma accanto ad essa compie una importante attività di finanziarizzazione, cioè di investimento. La vigilanza, da strutturale, diviene prudenziale (regolamentare – informativa – ispettiva). Il contesto economico è di grande floridezza (grande quantità di denaro – massiccia erogazione di servizi di investimento). La risoluzione delle crisi avviene attraverso la gestione commissariale, cui seguiva la cessione delle attività e delle passività ad altra banca sana. A ciò si combinava, per colmare le differenze, il fondo interbancario di tutela dei depositi e, infine, la liquidazione dell’attivo che se ne era ricavato in favore ai creditori della banca.
  • La crisi del 2008 ha determinato alcuni specifici effetti: – la crisi dell’economia reale; la contrazione degli utili per le banche; – la riduzione dei volumi negoziati e un forte deterioramento dei crediti, causato principalmente dalla riduzione del valore degli immobili e dai tempi delle procedure esecutive. Il Regolamento UE n. 1024/2013 ha introdotto il Meccanismo Unico di Vigilanza in virtù del quale per le Banche caratterizzate da un notevole impatto sistemico la vigilanza si trasferiva dalla Banca d’Italia alla Banca Centrale Europea.

 

L’avv. Baessato ha tracciato la cronologia della crisi Banca Popolare di Vicenza.

I fattori di rischio sono stati individuati nella modalità di determinazione del prezzo delle azioni (da parte del C.D.A., con l’approvazione dei soci) e nella diffusione della concessione di finanziamenti ai clienti affinché essi acquistassero le azioni della Banca.

Gli interventi iniziali furono la sostituzione degli organi di gestione, patrimonializzazione e trasformazione delle società cooperative in società per azioni con conseguente quotazione in borsa delle azioni.

Lo scarso riscontro delle azioni in borsa ne determinò un valore di 3 – 10 centesimi, a fronte di un valore attributo dal c.d.a. di € 62,00.

Ne seguì la bocciatura del “Progetto Tiepolo” da parte della Banca Centrale Europea.

Nel giugno del 2017 si aprivano le discussioni con il Comitato di Risoluzione Unico, il quale escluse che vi fosse un interesse pubblico per intervenire perchè la Banca venne definita “non sistemica”.

In data 25/06/2017 il D.L. N. 99/2017 pose la Banca in liquidazione coatta amministrativa e, infine, con il contratto del 26/06/2017, si perfezionava la cessione ad Intesa San Paolo.

 

 

Lezione del 13 febbraio 2019. Questioni pratiche in materia di successioni.

Notaio avv. Giorgia Visotti.

Il tema delle successioni apre due diversi scenari: quello giuridico e quello fiscale.

A) Profili Giuridici: 

1) La prima domanda da fare al cliente a chi si rivolge al Notaio in seguito del decesso di un proprio caro è: c’è un testamento?

Il testamento olografo è quello scritto completamente dal testatore (non scritto al computer e poi firmato), datato – anche se l’errore di data è superabile – e firmato. 

Il testamento pubblico è ricevuto dal notaio che lo repertoria tra gli atti di ultima volontà. Da quel momento, finché il testatore è in vita, nessuno può visionarlo, essenzialmente perché, come noto, il testamento è l’atto revocabile per eccellenza.

Il testamento, infine, può essere semplicemente depositato fiduciariamente dal notaio. 

Non vi sono dubbi sul fatto che, in generale, il testamento pubblico garantisca una migliore rappresentazione della volontà del testatore. L’esperienza, infatti, dimostra che alcuni testamenti olografi sono di difficilissima interpretazione.

2) La seconda valutazione da fare attiene alla situazione complessiva facente capo al de cuius: accettare l’eredità puramente e semplicemente o con beneficio di inventario?

Accettando con beneficio di inventario l’erede evita la confusione del proprio patrimonio con quello del de cuius.

Si badi che, nel caso in cui l’erede che ha accettato con beneficio d’inventario ponga in essere atti di accettazione tacita dell’eredità (disponendo dei beni dell’eredità), egli potrà essere chiamato a rispondere dei debiti ereditari.

3) Può accadere che il Notaio pubblichi un testamento olografo astrattamente impugnabile, per esempio perché lesivo della quota spettante ai legittimari. Si pensi al coniuge che, in accordo con i figli, lascia tutti i suoi averi all’altro coniuge. In questi casi, ha spiegato la relatrice, è bene che in sede di pubblicazione del testamento intervengano anche i figli prestando acquiescenza alle disposizioni e rinunciando all’azione di riduzione.

B) Profili fiscali: la dichiarazione di successione.

Il principale adempimento fiscale è la dichiarazione di successione, che va presentata entro 12 mesi dall’apertura della successione per non incorrere in sanzioni.

La dichiarazione di successione permette di conseguire due fondamentali risultati: 1) la corretta intestazione catastale degli immobili 2) lo sblocco dei conti correnti. 

Al momento della dichiarazione di successione l’erede paga l’imposta catastale e ipotecaria (rispettivamente l’1% e il 2% del valore catastale, non commerciale, degli immobili) e anche l’imposta di successione, se dovuta ai sensi della D.L. 262/2006, conv. in L. 286/2006, che ha introdotto un sistema di franchigie. 

La dichiarazione di successione, oggi, è presenta in via telematica dal Notaio o da altro intermediario abilitato.

 

Lezione del 20 febbraio 2019. La responsabilità civile dell’internet provider.

Avv. Prof. Mauro Tescaro.

Si mette a disposizione il materiale didattico utile per la lezione:

Prof. Tescaro, 20 febbraio 2019, Vicenza

La responsabilità dell’internet provider è disciplinata da due principali fonti normative:

  • La Direttiva 2000/31/CE
  • Il Regolamento UE n. 2016/679

La disciplina persegue una composizione armonica del regime di responsabilità di chi opera online con la tutela del diritto alla privacy dei singoli utenti.

La Direttiva 2000/31/CE contiene una disciplina di favore per il providerpassivo”, che è quello che si limita ad offrire un servizio e ad accogliere le attività degli utenti, nelle tre forme del “mere conduit” (trasmissione di informazioni), del “caching” (memorizzazione di dati temporanea), “hosting” (memorizzazione di dati non temporanea) – disciplinate rispettivamente dagli artt. 14, 15 e 16 D. Lgs. 70/2003, che ha attuato, in modo talvolta creativo, la direttiva.

In base all’art. 17 D. Lgs. 70/2003, comma 1, “nella prestazione di servizi di cui agli articoli 14,15,16, il prestatore non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, né ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite

Più precisamente, al comma 2, la norma precisa che “Il prestatore è civilmente responsabile…nel caso in cui, richiesto dall’autorità giudiziaria o amministrativa avente funzioni di vigilanza, non ha agito prontamente per impedire l’accesso a detto contenuto, ovvero se, avendo avuto conoscenza del carattere illecito o pregiudizievole per un terzo…non ha provveduto ad informarne l’autorità competente

Unico obbligo, dunque, quello di:

  • avvisare l’autorità: il provider non può e non deve togliere i contenuti di volta in volta segnalati dagli utenti: ciò gli farebbe assumere un ruolo da “censore” con conseguente violazione del diritto alla libera manifestazione del pensiero;
  • Rimuovere i contenuti laddove richiesto dall’autorità competente.

 

In giurisprudenza, si segnala il caso Google c. Vivi Down (Tribunale di Milano, 12/04/2010, n. 1972; Corte Appello Milano 27/02/2013, n. 8611; Cass. 17/12/2013 n. 5107)

 

Lezione del 27 febbraio 2019. Informatica giuridica e processo telematico.

Avvocati Franco Zumerle e Riccardo Berti

Ecco il link per accedere alle slides proiettate durante la lezione:

Slide della Lezione

 

Lezione del 6 marzo 2019. La scrittura giuridica.

Avv. Prof. Paolo Moro

Caso Avv. Moro – Inadempimento dell’architetto

La metodologia della difesa giuridica.

Il relatore si è occupato della struttura del testo difensivo.

La costruzione del testo difensivo passa attraverso le seguenti attività:

  1. analisi del caso e individuazione dell’essenza del caso controverso (lo status causae e lo ius controversum)
  2. individuazione degli argomenti a favore del proprio cliente (inventio)
  3. disposizione logica degli argomenti di fatto e di diritto (dispositio)
  4. esposizione stilisticamente appropriata (elocutio)
  5. comunicazione illustrativa (actio)

E’ Cicerone a ricordarci la struttura tetralogica del parere stragiudiziale così come dell’atto: “Cominciare con una premessa, esporre poi il fatto, comprovare successivamente la nostra tesi, adducendo solide prove a sostegno e confutando quelle dell’avversario, e infine, concludere e perorare: questo procedimento lo impone la natura stessa dell’eloquenza

Le parti del discorso, pertanto, si possono così schematizzare:

  • Esordio introduttivo (Exordium – apertura alla critica)
  • Esposizione del fatto (Narratio – narrazione precisa)
  • Argomentazione di diritto (Argomentatio. Nella retorica giuridica, l’ordinamento logico degli argomenti utilizzati per la difesa delle domande e delle eccezioni presentate si basa su tre criteri: gerarchia logica, forza persuasiva, ordine dell’avversario)
  • Conclusione (Conclusio – Comunicazione riassuntiva)

 

Lezione del 13 marzo 2019. Il contratto di subfornitura (L. n. 192 del 18 giugno 1998)

Avv. Paolo Doria

La subfornitura nasce nel 1998 con la legge n. 192.

Lo scopo della legge era essenzialmente la tutela del contraente debole nel rapporto tra imprese.

La subfornitura è un fenomeno del decentramento produttivo, cioè dello spostamento di una parte del processo produttivo all’esterno rispetto all’impresa.

La subfornitura è congiunturale (quando ad essa sottendono motivi organizzativi) oppure specializzata (quando il decentramento è necessario perchè l’impresa non è tecnologicamente attrezzata). La Legge n. 192/1998 disciplina esclusivamente la subfornitura congiunturale.

Ai sensi dell’art. 1 della Legge, la subfornitura (congiunturale) è “di lavorazione” (“con il contratto di subfornitura un imprenditore si impegna a effettuare per conto di un’impresa committente lavorazioni su prodotti semilavorati o su materie prime forniti dalla committente medesima”) odi prodotto(“o si impegna a fornire all’impresa prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o comunque ad essere utilizzati nell’ambito dell’attività economica del committente o nella produzione di un bene complesso”)

L’ultimo periodo dell’art.1 caratterizza tutto l’istituto: “in conformità a progetti esecutivi, conoscenza tecniche e tecnologiche, modelli o prototipi forniti dall’impresa committente”: si tratta del c.d. know-how, in cui si concretizza l’eterodirezione dell’impresa committente.

Forma

L’art. 2 subordina la validità del contratto di subfornitura al requisito della forma scritta.

La norma, tuttavia, in piena coerenza con lo ratio della legge, prevede che il subfornitore abbia comunque diritto al pagamento delle prestazioni già effettuate e al risarcimento delle spese sostenute in buona fede ai fini dell’esecuzione del contratto.

Abuso di dipendenza economica 

L’art. 9 della Legge vieta espressamente all’impresa di abusare della posizione di dipendenza economica per imporre alla controparte (l’impresa più debole) un eccessivo squilibrio di diritti e obblighi. Si tenga presente che, secondo la giurisprudenza prevalente, questa clausola deve applicarsi in maniera generalizzata a tutti i contratti.

Il caso proposto ha suscitato queste riflessioni: Caso subfornitura – avv. Doria

  • Siamo nell’ambito di un rapporto di fornitura, sussistendo sia una forma di dipendenza economica sia il fenomeno dell’eterodirezione  (visto che Service assorbe il 25% del fatturato di Gianna s.n.c. e quest’ultima ha fornito i cartamodelli per la realizzazione dell’ordine).
  • La merce, pur viziata, viene accettata dalla Gianna s.n.c. Essendo i vizi riconoscibili, Gianna avrebbe dovuto denunziarli subito oppure accettare “con riserva”

 

Lezione del 20 marzo 2019. Principi in materia di licenziamenti.

Avv. Prof. Andrea Bollani.

La disciplina dei licenziamenti è stata recentemente toccata dalla sentenza della Corte di Costituzionale n. 194 del novembre 2018.

La questione di legittimità è stata sollevata dal Tribunale di Roma in relazione agli articoli 2, 3 e 4 del D. Lgs. n. 23/2015.

Ma qual è il terreno su cui si sviluppa tale questione di legittimità?

Il diritto del lavoro è stato il tema centrale almeno delle ultime tre legislature, ma l’unico versante nel quale il dibattito si è sempre sviluppato è quello delle tutele, cioè dei rimedi a fronte dell’accertata illegittimità del licenziamento.

La serie di riforme che si è susseguita nel tempo, infatti, non ha mai toccato i presupposti base del licenziamento: la giusta causa (art. 2119 c.c.) e il giustificato motivo (art. 3 l. n. 604/1966).

La sentenza della Corte Costituzionale n. 46/2000:

Con essa la Corte ha dichiarato ammissibile il referendum abrogativo che aveva ad oggetto l’art. 18 della L. n. 300/1970. Con questa decisione la Corte ha implicitamente ritenuto che la tutela reale (cioè la reimmissione nel rapporto di lavoro, che si intende mai cessato) non è costituzionalmente necessitata, e che, pertanto, il legislatore può scegliere tra un ventaglio di sanzioni diverse. Il risultato del referendum portò, comunque, alla conservazione della norma.

Anche in quell’occasione, tuttavia, la Corte ribadì il necessario fondamento del licenziamento sulla giusta causa o sul giustificato motivo.

Ciò ha dato stimolo ad infinite rielaborazioni sull’art. 18, abrogazioni parziali ecc.

Gli approdi di questo percorso si sono avuti nel 2012 e poi nel 2015.

La Legge Fornero del 2012 frantuma letteralmente l’art. 18 in 4 subfattispecie: solo per due di esse è previsto il rimedio della reintegrazione (licenziamento discriminatorio, con onere della prova a carico del lavoratore; licenziamento per fatti che nel contratto collettivo di riferimento sono puniti con sanzioni conservative). Il 5° e il 6° comma della norma disciplinano il rimedio puramente obbligatorio (sebbene molto più grave di quello previsto dall’art. 8 della L. N. 604/66 – da 6 a 12 mensilità e da 12 a 24 mensilità). Con questo intervento il legislatore comincia a spostare l’asse marginalizzando il rimedio reintegratorio.

Il Jobs act nel 2015 introduce un apparato di tutela per il licenziamento illegittimo in cui la reintegrazione è ancor più marginalizzata.

Nel Jobs Act l’indennizzo varia a seconda dell’anzianità di servizio.

Ma il decreto si applica unicamente ai contratti stipulati dal 7 marzo 2015 in poi. Ciò che desta l’analisi è: 1) il criterio di fissazione e liquidazione dell’indennità; 2) la convivenza di due regimi normativi fortemente sperequati, a maggior ragione se si considera il fatto che gli assunti dopo il 7 marzo 2015 hanno evidentemente una breve anzianità di servizio.

Ci sarebbe voluto molto tempo prima che anche il sistema previsto dal D. Lgs. N. 23/2015 prendesse piede con la liquidazione di indennizzi anche alti.

Le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Roma:

  1. Disparità di trattamento tra gli assunti pre e post 7 marzo 2015 (art. 3 Cost.);
  2. Inadeguatezza della tutela indennitaria prevista (art. 4 e 35 Cost.);
  3. Violazione della Carta Sociale Europea (art. 117 Cost.);
  4. Violazione della Convenzione sul licenziamento adottata nel 1982 dalla Organizzazione internazionale del Lavoro (mai ratificata dall’Italia);
  5. Violazione Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 117 Cost.)

La sentenza n. 194 del novembre 2018 ha rigettato la prima questione perchè la Corte, valorizzando la ratio legis sottesa all’introduzione del Jobs Act, ha evidenziato che la disparità appare ragionevole perchè la politica di fondo è quella di incentivare la stipulazione di contratti (che poi la misura sia efficace in tal senso o opportuna politicamente, precisa la Corte, non è sua competenza dirlo). La disparità, pertanto, è giustificata;

La Corte, al contrario, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il 1° comma dell’art. 3 del D. Lgs. n. 23/2015 nella parte in cui rapporta l’indennità spettante al lavoratore illegittimamente licenziamento al criterio rigido, fisso e automatico dell’anzianità di servizio.

Tale meccanismo infatti: 1) Impedisce qualsiasi personalizzazione della tutela  – stessa anzianità = stessa indennità (ma magari pregiudizio molto più intenso); 2) Risulta privo di qualsiasi capacità deterrente – non assolve alla funzione generalpreventiva.

Il relatore ha concluso spiegando che la pronuncia non inciderà sull’art. 4 del D. Lgs. n. 23/2015, che disciplina il licenziamento intimato in violazione di norme procedurali, nè sull’art. 6 sull’offerta conciliativa, che è norma essenzialmente fiscale.    

 

Lezione del 27 marzo 2019.

Avvocati Nicola Madia e Francesco Miraglia

Interferenze tra diritto interno – diritto convenzionale e diritto del’Unione Europea

La Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali è stata firmata a Roma nel 1950 e ratificata in Italia nel 1955.

Essa nasceva con l’idea di fondo di accostare ad un corpus normativo un Giudice in grado di garantire i diritti ivi sanciti. Questo Giudice ha sede a Strasburgo ed è la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Il 2007 ha segnato un vero e proprio spartiacque per l’interpretazione del diritto CEDU.

La Corte Costituzionale, infatti, con le sentenzie “gemelle” 348 e 349 ha stabilito due fondamentali principi: 1) il diritto CEDU non è suscettibile di applicazione diretta, pertanto, in caso di contrasto, non è ammissibile la disapplicazione del diritto interno in favore di quello convenzionale; 2) tuttavia, ai sensi dell’art. 117 Cost., lo Stato e le Regioni, nell’esercizio della potestà legislativa, devono rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Pertanto, il corpus normativo della Cedu ha portata sovranazionale e la legge deve uniformarvisi.

Non solo, la Corte Costituzionale ha anche affermato che i disposti della Convenzione assumono valore cogente non nel loro valore letterale, ma nell’interpretazione data loro dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Tale corpus, pertanto, gode di una posizione intermedia tra la Legge Ordinaria e la Costituzione perché, affinché possa esplicare la sua forza, deve rispettare i c.d. controlimiti costituzionali.

Obbligo del Giudice che sospetti un contrasto tra la norma interna e il disposto convenzionale è, in via preliminare, tentare un’applicazione convenzionalmente conforme della norma. Se la lettera della legge appare insuscettibile di essere letta in senso convenzionalmente orientato, il Giudice deve sollevare questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 117 Cost. 

Accertata la violazione, la norma interna potrà essere dichiarata costituzionalmente illegittima.

A questo sistema si affianca quello della “piccola Europa”, cioè dell’Unione Europea che oggi conta 28 componenti (27 considerando la Brexit).

In questo caso vige quanto disposto dall’art. 11 della Cost.: l’Italia “consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni”. Tant’è vero che alcune fonti del diritto dell’Unione sono direttamente applicabili nel nostro ordinamento (come i Regolamenti).

In questo caso, pertanto, in caso di sospetto contrasto tra norma interna e norma comunitaria, il Giudice è chiamato, anche in questo caso, a tentare una lettura comunitariamente orientata e, laddove ciò non appaia possibile, deve disapplicare la norma interna, salvo che sospetti l’incostituzionalità della norma sovraordinata.

Si sottolinea che disapplicazione non significa rimozione – solo la Corte Costituzionale può rimuoverla, eventualmente.

Il sistema Cedu, tuttavia, è destinato a penetrare in quello dell’Unione Europea. 

Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (2009), la Carta di Nizza (La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea) ha assunto il valore giuridico dei trattati.

All’art. 52 la Carta di Nizza stabilisce che: “3. Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa.”

 

ATTENZIONE: LE LEZIONI DEL II SEMESTRE 2019 INIZIERANNO MERCOLEDÌ 24 APRILE 2019 

Programma Scuola II semestre 2019